È il circo

"Il colonnello Aureliano Buendìa emise un rutto sonoro che gli riportò nel palato l’acidità della zuppa, e che fu come un ordine dell’organismo perché si buttasse la coperta sulle spalle e se ne andasse nel gabinetto. Lì rimase più del tempo necessario, accovacciato sulla densa fermentazione che saliva dal cassone di legno, finché l’abitudine lo avvisò che era ora di riprendere il lavoro. Durante il tempo che durò l’attesa tornò a ricordarsi che era martedí, e che José Arcadio Secondo non era venuto in laboratorio perché era giorno di paga nei campi della compagnia bananiera. Quel ricordo, come tutti i ricordi degli ultimi
anni, lo indusse, senza una particolare ragione, a pensare alla guerra. Ricordò che il colonnello Gerineldo Màrquez gli aveva promesso una volta un cavallo con una stella bianca sulla fronte, e poi non se n’era più parlato. E deviò verso dispersi episodi, ma li evocò senza definirli, perché a forza di non poter pensare ad altro aveva imparato a pensare a freddo, per non consentire ai ricordi ineluttabili di ledergli qualche sentimento. Tornato nel laboratorio, e accorgendosi che l’ aria
cominciava a seccare, decise che era il momento adatto per fare il bagno, ma Amaranta lo aveva preceduto. E cosí cominciò il secondo pesciolino della giornata. Stava arricciando la coda quando il sole brillò con tanta forza che il chiarore diede un gemito come di barca vecchia. L’aria lavata da tre giorni di pioggia si riempì di formiche volanti. Allora si accorse di aver voglia di orinare, e di aver trattenuto il bisogno perché prima voleva finire il pesciolino. Si dirigeva verso il patio, alle quattro e dieci, quando udí i fiati lontani, il rimbombo del tamburo e la gazzarra dei bambini, e per la prima volta dalla sua gioventù mise coscientemente il piede in una trappola della nostalgia, e rivisse il prodigioso pomeriggio di zingari in cui suo padre lo aveva portato a conoscere il ghiaccio.
Santa Sofia de la Piedad lasciò quello che stava facendo in cucina e corse verso la porta.
"È il circo", gridò.
Invece di andare verso il castagno, il colonnello Aureliano Buendìa si affacciò anche lui alla porta di strada e si mescolò ai curiosi che assistevano alla sfilata. Vide una donna vestita d’oro in groppa a un elefante. Vide un dromedario triste. Vide un orso vestito da olandesina che segnava il ritmo della musica con un cucchiaione e una casseruola. Vide i pagliacci che facevano sberleffi in coda al corteo, e vide di nuovo la faccia della sua solitudine miserabile quando tutto finì di
passare, e non rimase altro che il luminoso spazio nella strada, e l’aria piena di formiche volanti, e alcuni curiosi affacciati sul precipizio dell’incertezza. Allora andò verso il castagno, pensando al circo, e mentre orinava cercò di continuare a pensare al circo, ma ormai non trovò il ricordo.
Affondò la testa nelle spalle, come un pulcino, e rimase immobile con la fronte appoggiata al tronco del castagno. La famiglia non se ne accorse fino al giorno dopo, alle undici del mattino, quando Santa Sofia de la Piedad andò a buttar via la spazzatura in fondo ai patio e si meravigliò che gli avvoltoi stessero calando."

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4 risposte a È il circo

  1. Mauci ha detto:

    è descritto in un modo assurdo…sembra che la scena si svolga realmente nella testa, ed è inquietante…

  2. Il Poeta ha detto:

    Ma che è sta cosa? è scritta troppo bene =)(peccato che i nomi siano impossibili da ricordare :P)

  3. AdrenalineAbuser ha detto:

    Cent’anni di solitudine!

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