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Alcolizzarsi per evitare di lavorare pure nel sonno,
mangiare per tre, tre volte al giorno,
smettere di uscire se non una volta ogni due settimane,
smettere con i vizi inutili ma concentrarsi su quelli indispensabili,
addormentarsi per terra,
dormire mezz’ora al giorno seduti su una sedia,

Andare a letto stanchi e svegliarsi peggio,
iniziare a togliersi le spine il giorno prima e finire quello dopo,
fare stretching in macchina, sul furgone, al cesso,
svegliarsi con le mani e i piedi informicolati,
avere le scarpe fradice dopo 10 minuti di lavoro,
lavorare anche sotto l’acqua, finchè non diventa troppa

Le merde dei cani, le spine delle rose, delle agavi giganti, dei rovi, delle piracante,
sbadilare e scariolare il lunedì, scavare il martedì, rastrellare il mercoledì,
riempire tre camincioni al giorno, quando non è erba bagnata, è roba lunga 2 metri
bere tre bottiglie di acqua in una giornata di lavoro senza mai pisciare,
fare venti chilometri al giorno vangando, portando mastellini di terra e sassi,
fare buche di 1 metro cubo e doverle rifare perchè il capo ha sbagliato posizione,

in parte a un provinciale,
in pendenza,
in un terreno pieno di insetti,
sassi e massi

 

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Mi piace

Mi piace fare le cose a cazzo; perchè ogni volta che mi sono sbattuto a fare una cosa bene poi per un motivo o per l’altro non viene apprezzata o non riesco a godermi il fatto che venga apprezzata.

Mi piacciono i sorrisi pieni di paura; perchè per ogni attimo di felicità pura innumerevoli vite finiscono senza nemmeno una soddisfazione.

Mi piace chi fa cose che non capisco, perchè vuol dire che non sono ancora arrivato in fondo.

Mi piace essere chi mi sento di essere in quel momento, perchè non credo nell’impegno in senso lato e tantomeno nella legge del taglione.

Mi piace scherzare, perchè dopotutto la sensazione più comune e più inafferrabile che abbia conosciuto è il sentirmi perso.

Mi piace grattarmi, con cattiveria, perchè se non avessi dovuto grattarmi non avrei una pelle che si rigenera.

Mi piace farmi male, perchè mi ricorda che dopotutto ho dei limiti, e mi fa sentire vivo.

Mi piace sentirmi stanco, perchè vuol dire che quel giorno ho trovato la forza di vivere.

Mi piace svegliarmi senza avere la più pallida idea di che giorno sia, perchè vuol dire che il giorno prima mi sono divertito.

Mi piace parlare da solo, perchè almeno ho qualcuno che mi intrattiene.

Mi piace parlare con gli animali, ma anche con gli oggetti, perchè la vita è ovunque.

Mi piace giocare, perchè mi fa dimenticare, seppur per poco.

Mi piace fumare, farmi d’acido e qualsiasi altra schifezza di sto mondo, perchè respirare e ignorare il mio cervello diventa facile e monotono velocemente.

Mi piace fare piccole cose, perchè le cose grandi sono dominio dei gruppi.

Mi piace il sale, il peperoncino, le cose affumicate e i grassi, perchè no.

Mi piace il rischio, perchè se fossimo fatti per la sicurezza saremmo piante.

Mi piace andare con il flusso, perchè è li che andiamo tutti, più o meno insieme.

Mi piace fermarmi a guardare una luce, un riflesso, un’immagine, nonostante abbia una fotocamera vicino e possa tentare di immortalarla invece che godermela, perchè “il momento era troppo bello per essere rovinato con una foto”.

Mi piace ridere, perchè vuol dire che per quanto tenda continuamente a corazzarmi significa che sono tentativi vani.

Mi piace scrivere, perchè mi libera da ciò che non mi serve ma che comunque mi piacerebbe ricordare.

Mi piace andare in moto, perchè ho due gambe e non ho alcuna intenzione di regredire.

Mi piace pensare che un giorno qualcuno, grazie al mio minuscolo contributo alla storia dell’umanità, possa arrivare a scoprire qualcosa di importante, anche solo per sè stesso.

Mi piace pensare che il naufragare non sia soltanto dominio dei persi, ma che in realtà sia alla radice di ogni forma di vita.

Mi piace pensare che dopotutto sto bene con me stesso, perchè non tendo, sono.

Mi piace pensare che tutto abbia un significato, molto meno tangibile dei concetti di giusto e sbagliato, molto più profondo del concetto di personalità e probabilmente inafferrabile, se non in quel momento in cui “ti passa davanti tutta la tua vita” e non puoi più raccontarlo.

Mi piace pensare che quando morirò sarà tutto finito; o magari ricomincierà, senza che me ne ricordi; perchè mi piace vivere, anche se fa male.

Mi piaciono i sassi, il legno, l’acqua, la terra, il pelo, gli occhi, le nuvole, il vento che rinfresca una torrida giornata d’estate, perchè mi ricordano che ogni inferno ha la sua rosa.

Mi piace pensare che forse morirò solo, senza progenie, perchè, nonostante mi piaccia l’idea di generare esperimenti da scagliare nell’arena della vita, non saprei con chi.

Mi piace pensare che un giorno troverò l’amore, perchè l’esperienza mi insegna che c’è gente talmente sciocca da farmi capire di piacergli, nonostante in genere ci vogliano i carri armati.

Mi piace pensare che quando mi innamorerò seriamente, troverò la forza di essere chi avrei bisogno di trovare, perchè non si può sempre trovare tutto pronto.

Mi piace pensare di avere tanto da dare anche al di fuori dei canoni, delle norme di comportamento e di costume, perchè altrimenti saremmo ancora scimmie.

Mi piace pensare di essere un esperimento, perchè altrimenti sarei soltanto una produzione di massa.

Mi piace pensare che l’imprevedibile sia la base di ogni cosa seria, perchè chiunque abbia l’ardore di definirsi serio non ti parlerà mai di certezze, ma di probabilità.

Mi piace pensare che forse morirò come non vorrei, perchè è ciò che probabilmente succederà.

Mi piace pensare che quando non penso sto meglio, ed è per questo che spesso mi limito a pensare solo quando scrivo, perchè la risposta è spesso davanti ai miei occhi e non serve chiamare in causa le funzioni superiori per cose comuni.

Mi piace pensare che dopotutto non credo in niente, perchè dopotutto la cultura è una delle invenzioni più belle degli esseri umani ma continua a servire a poco e niente.

Mi piace pensare che imparare sia praticamente impossibile, perchè continuiamo a essere animali con una capacità di apprendimento sovrasviluppata ma ancora insufficiente.

Mi piace pensare che forse un giorno avremo dei chip che ottimizzeranno il nostro sistema nervoso, rendendoci praticamente delle macchine, che è poi quel che siamo ma che preferiamo continuare a ignorare.

Mi piace pensare che forse un giorno la civiltà umana crollerà, e si ricostruirà su nuovi paradigmi, per poi crollare e ricostruirsi di nuovo, fino forse a estinguersi, perchè magari finalmente qualcuno potrà davvero imparare da noi qualcosa di decisivo.

Mi piace pensare che forse rimarremo gli stessi esseri stupidi e limitati che siamo, nonstante magari riusciremo a conquistare l’universo e a scoprire pianeti e specie del tutto fuori dal concepibile, perchè è ciò che sta alla base dei concetti di bellezza, intelligenza e sensibilità, nonchè ciò che ci definisce umani.

Mi piace pensare che un giorno starò meglio, anche se in realtà non ho niente di cui lamentarmi che non dipenda da me; perchè mi aiuta ad andare avanti, e a sopportare ciò che sono.

 

 

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C’è più tempo che vita, ovvero sul giorno in cui festeggiai la morte di qualcuno a cui volevo bene

Sai, oggi ho imparato qualcosa che probabilmente avrei potuto già sapere, ma servivano condizioni estreme per far si che riuscissi a piegare l’iperbole per far intersecare la possibilità con la necessità: ho imparato che, se ti bevi da solo una bottiglia di spumante da 1 euro, verso la fine è sicuro che ti viene un pò di acidità di stomaco, anche se ultimamente ti sollazzi nel bere sorsi di finto aceto balsamico, che tra l’altro è parecchio peggio che berne di quello vero. Però fa il suo effetto, lo spumante, e ti porta a scoprire anche altre cose che non ti aspettavi. Per esempio, ho capito che con il mio nuovo finto letto matrimoniale posso appoggiare un sacco di cose sul letto che non uso, tipo il fucile, il cellulare, i pantaloni, e così via; soprattutto visto che il cane dorme ancora sul mio letto nonostante possa possederne uno suo. In più, nel mio nuovo letto inutilizzato, posso nasconderci bottiglie di ogni tipo e quantità. Infatti, nel dubbio che una bottiglia non bastasse, sono sceso a prenderne un’altra. Poi è arrivata la notizia, e se prima era soltanto paura, ora è certezza – devo festeggiare.
Anche se non ne ho alcuna voglia: stasera è morta mia nonna, probabilmente la persona che in questi 28 anni ha avuto più influenza nella mia vita, probabilmente soprattutto grazie alla poca volontà di averne, sicuramente la persona con cui mi son divertito di più negli ultimi due anni. Però glielo devo, non voleva soffrire, e nonostante l’ultimo anno non sia stato soltanto rose e fiori, e anzi, ha passato due mesi e mezzo in ospedale, la fine è venuta in fretta, dopo un periodo di grasse vacche di ogni tipo: carne e vino a ogni ora, risate a volontà, e un sacco di abbracci.
Poi ci sono i rimorsi. Io ho passato gli ultimi due mesi sempre ubriaco, a ogni ora, perchè comunque lei aveva i suoi problemi dopo quel che le era successo, e, come se non bastasse, qualcuno aveva pensato di affiancarle la mia cuginetta, che ha già i suoi problemi e ben poche possibilità di risolvere quelli altrui. E la cosa in parte mi aiutava, ma in altre mi ammazzava, e per smaltire un litro di vino a pranzo ci vogliono le ore, e un sacco di volontà.
Ho alcune delle foto più particolari di mia nonna dell’ultimo anno, e questo è sicuramente una bella cosa. Ma forse c’è qualcosa che mi manca, e non è una cosa recente. Nel senso che probabilmente in tutto questo tempo non ci ho mai pensato, anche se continuo a sperare che non sia così, che qualcuno ci abbia pensato per me, o che semplicemente, non mi ricordi di esserci arrivato perchè ero ubriaco: non credo di avere una foto che sia una con mia nonna, e se ce l’ho, è certo non l’abbia ideata io. Non che ci sia del merito particolare, però avrei voluto vederci insieme, con quelle espressioni del “facciamoci una foto”. Perchè col tempo ero diventato bravo a farle foto, a catturare quei rari momenti di allegria che in pochi sapevamo indurgli, toccando quei pochi tasti rimasti. Ma quel che mi manca forse è vedere come stavo io in sua compagnia, nonostante ora, con il ricordo fresco, lo sappia bene come stavo. Il problema sarà ricordarsene, col passare degli anni, coll’evolversi delle cose, col prenderlo in culo dalla vita. E ora è troppo tardi. E pensare che oggi la vedevo respirare affannosamente in ospedale e non ci pensavo, credevo che in qualche modo ce l’avrebbe fatta come sempre, bene o male.
Resta quel che ho imparato da lei, e non è poco; per esempio, che non sempre bisogna perdonare, perchè ci sarà chi ti perdona per non aver perdonato chi non se lo meritava, o non riusciva a meritarselo. Che nella vita bisogna esser pronti al peggio, perchè è quello che probabilmente ti capiterà; che l’importante è tirare avanti, in qualsiasi modo, e che non importa quanto sia salata la pancetta, o grasso lo stracchino, se ti rendono felice, mangiali, anche se non dovresti. E così sia per l’alcool. Mai una parola cattiva ha detto infatti verso il mio prozio Ceco, il fratello di mio nonno nonchè cognato di mia nonna: gli piaceva bere il vino, e un bottiglione al giorno non bastava. E lei gli diceva di berne di meno, ma lui ribatteva, fammelo bere intanto che son vivo, e non un commento, non una battuta a riguardo, non un giudizio. All’esatto contrario di chi non beveva o non beveva più di un bicchiere per non diventare balordo, forse per similarità nei gusti, o forse per qualcosa di più profondo. Perchè alla fine, nonostante il vino e tutto ciò che poi ne derivò, qualcosa rimase di quel ramo del lago di Como, a differenza del ramo di colui che non beveva più di un bicchiere, che non lasciò alcun tipo di scia per paura di lasciarne di sbagliate.
E allo stesso modo stasera non c’è giudizio per me che mi stappo un’altra bottiglia di spumante, all’una di notte, con tanto di scoppio inaspettato, che tra l’altro probabilmente era in cantina dall’epoca in cui c’era ancora mio nonno. Perchè dopotutto forse sono io quello che stasera ha più da perdere, quello che aveva legato di più con quel poco di vita ormai in fuga verso altri orizzonti. E non è certo un merito mio, ma, nonostante il dolore, sono felice di aver avuto questa occasione: ultimamente ero un pò sconsolato, perchè tra una cosa e l’altra ero sempre io a dovermi sobbarcare tutti gli oneri di quella barca traballante che è “casa nostra”.  Però forse, a conti fatti, ho avuto l’occasione di apprendere, tra una difficoltà e l’altra, la storia come mia nonna se la ricordava, e se c’è qualcosa per cui lodare mia nonna, è la memoria. Soprattutto nel mio caso, in cui praticamente entrambi i rami principali da cui derivo tendono all’estinguersi, se non fosse per l’ultima, tenace esemplare: la sorella più piccola di mia nonna, una sottospecie di forza della natura alta forse un metro e mezzo ma capace di aver cresciuto, da vedova, a cinquant’anni scarsi ben dodici figli.
Ed è a lei che dovrò cercare di stare vicino in futuro, in onore alla promessa che feci nel mio cuore a mio nonno, di prendermi cura di mia nonna quando lui se ne sarebbe andato, sentendomi, già allora, l’unico capace di stare vicino quanto serva senza risultarne troppo scottato. Perchè ora è sola. E si merita che qualcuno si ricordi ciò che ha fatto negli ultimi mesi di vita di mia nonna, in cui ogni giovedì veniva a trovarla, per guardarla con quei suoi occhi azzurri come il cielo che non riesco a capire da dove siano arrivati, come se siano qualcosa di estraneo, di esterno alla genetica, di assurdo, di bellissimo come il suo carattere morbido ma inattacabile. In onore a tutti i difetti che ho ereditato, perchè forse sono proprio loro a fare di me quel che sono, o quel che fa di me meritevole di esistere, perchè è chi a essere senza peccato a scagliare le pietre, e io, a parte per farle saltare sui fiumi, non c’ho molta voglia, soprattutto da preciso.

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Giusto perchè non saprei immaginarvi come due cose separate.


Ciao nonna!

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Cronache del risveglio: geografia del delirio

Ultimamente mi capita di fare parecchi sogni deliranti visto che sto bevendo spesso e volentieri e ho preso l’abitudine di tenermi la bottiglia vicino al letto; così mi sveglio spesso e sogno un sacco, ovviamente sogni particolarmente matti.

Uno in particolare oggi mi ha colpito per la sua lunghezza e ricchezza di dettagli: sono a skeitare, a Seriate anche se non ricordo ne skate ne park, so solo che, una volta arrivati in fondo al park, bisognava passare per le piscine per poter tornare in cima. Mi ci dirigo ma dopo aver salito le scale mi accorgo che in realtà non sono in piscina ma su quella che sembra essere una barca. Anzi no, è tipo una cabinovia però a forma di barca. Mi guardo in giro e capisco che siamo sul fiume, che tra l’altro sembra il Pò invece che quel piscio del Serio, guardo ancora meglio e vedo che in un certo punto ci sono dei cestelloni enormi abbandonati vicino al fiume, tipo dove si siedono le persone sulle ruote panoramiche.
Penso che alla Smich piacerebbero e decido di capire come arrivarci invece che andare a skeitare. Nel farlo mi ritrovo in un gran bel posto, che sembra disabitato ma in realtà è semplicemente poco affollato, con case sulla riva del fiume e qualche piccola bottega. L’atmosfera è decisamente particolare, con questi grandissimi pini marittimi in riva al fiume e delle belle terrazze sul lungo fiume. Niente di esagerato ma decisamente particolare, anche se forse le case sono decisamente vecchio stile. Butto un occhio nell’acqua e vedo una trota salmonata nuotare nell’acqua limpidissima, dove forse guardavo per capire che tipo di piante acquatiche erano quelle che vedevo viverci dentro. Mi avvicino verso una vetrinetta perchè mi pare di vedere una luce accesa, ed è così. Decido allora di scappare perchè ero convinto che fosse disabitato, una specie di Consonno sul fiume, e nel tornare mi accorgo che con me c’era anche il mio cane. Incontro due signore anziane che mi fanno notare che il posto è proprietà privata e io ribatto dicendo di mettere un cancello o perlomeno un cartello, e loro si scusano dicendo che non volevano modificare la vecchia struttura. Esco sul provinciale e mi ritrovo ad Alzano, a piedi, e con il cane senza guinzaglio, ma fortunatamente trovo lì il mio vicino di casa che si appresta, con altri, ad andare a un festival lì vicino. Decido di chiedergli un passaggio ma mi accorgo che hanno cani con sè quindi prendo il mio in braccio mentre cominciano ad arrivare cani da ogni ddove per via dei pancabbestia del festivalol,

Piccolo indice dei sogni ricorrenti:
. fiume artificiale a tratti vuoto a tratti con acqua che porta al mare dopo numerosi ponti. monte con strada di cemento a spirale che sale sempre in curva verso sinistra
. paese lungo due strade parallele però su due altezze diverse
. curva di non so dove vicino a palazzolo che ho fatto con mev una sera nel pazzo

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Sulla vita, la morte, e le infinite sfumature di un unico conundrum tra di esse, AKA la mia versione del Soma

“E subito, meccanicamente, oppresso dalla giornata uggiosa e dalla prospettiva di un triste domani, mi portai alle labbra un cucchiaino di tè dove avevo lasciato ammorbidire un pezzetto di medeleine. Ma, nello stesso istante in cui quel sorso frammisto alle briciole del dolce toccò il mio palato, trasalii, attento a qualcosa di straordinario che accadeva dentro di me. Un piacere delizioso mi aveva invaso, isolato, senza nozione della sua causa. Di colpo, m’aveva reso indifferenti le vicissitudini della vita, inoffensivi i suoi disastri, illusoria la suà brevità, allo stesso modo in cui agisce l’amore, calmandomi di un’essenza preziosa: o meglio, quest’essenza non era in me, era me stesso. Avevo cessato di sentirmi mediocre, contingente, mortale. Donde mi era potuta venire questa gioia potente? Sentivo che era legato al sapore del tè e del dolce, ma lo sorpassava incommensurabilmente, non doveva essere della stessa natura. Donde veniva? Che significava? Dove afferrarla? Bevo un secondo sorso, in cui non trovo nulla di più che nel primo, un terzo che mi dà un pò meno del secondo. È tempo che mi fermi, la virtù della bevanda sembra diminuire. È chiaro, la verità che cerco non è in essa, ma in me. Il tè l’ha risvegliata, ma non la conosce, e non può che ripetere indefinitamente, con sempre minor forza, quella stessa testimonianza che io non riesco a interpretare e che vorrei almeno potergli chiedere di nuovo e ritrovare intatta, a mia disposizione, fra poco, per una spiegazione decisiva. Depongo la tazza e mi rivolgo al mio spirito. È compito suo trovare la verità. Ma come? Grave incertezza, ogni volta che lo spirito si sente sorpassato da sè medesimo; quando lui, il ricercatore, è al tempo stesso anche il paese oscuro dove deve cercare e dove tutto il suo bagaglio non gli servirà a nulla. Cercare? Non soltanto: creare. È di fronte a qualcosa che non esiste ancora e che solo lui può rendere reale, e poi far entrare nel raggio della sua luce.”

“La vita è come la sensazione quando
stai facendo un discorso ma te lo dimentichi
avevo un biglietto per mio treno dei miei pensieri
ma l’ho perso
Dio mi ha dato le istruzioni per come vivere la mia vita
ma non riuscivo a legger la sua calligrafia
così le ho bruciate l’altra notte
Ma sceglierò sempre la bellezza del caos
piuttosto che l’orribile perfezione
Mi sveglio dal lato sbagliato del letto
tutti i giorni dal 1987
Posso sentirmi scivolare mia
da ogni chance di redenzione
Ma è giusto così, perchè se è lì che Farewell va,
non voglio nemmeno un pezzo di paradiso

Un tipo in tv mi ha offerto
di salvarmi l’anima senza addebito
ma ciò richiedeva che mi alzassi dal divano
ed ero troppo pigro
Piuttosto aspetto fuori da casa
di uno sbirro, con una calibro 12 in mano
Dio non è morto
ma prenderò quel bastardo un giorno o l’altro
E preferisco la bellezza del mio caos
sopra la perfezione di chiunque altro
Continuo ad alzarmi dal lato sbagliato del letto
tutti i giori dal 1987
Niente mi impaurisce come il fatto
che non me ne importa niente della redenzione
Ma è giusto così, perchè se è dove un liberale va,
non voglio nemmeno un pezzo di paradiso”

(anche se la più bella del cd è quella prima ma andate affanculo comunque)

“Non credo negli sbirri, nei capi e nei politici,
alcuni lo chiamano essere anarchici,
io lo chiamo avere un fottuto cuore che batte”

(diocaro tra l’altro assomiglia a nastro a Frusciante, anche se non in questa foto)

Per la serie, dacci un pò di dramma Cina, oggi eleggo il 2015 come l’anno del “sentirsi fortunato di esser ancora vivo”. Nonchè l’anno del “cristo iddio come si può essere tanto deficienti e ingrati allo stesso tempo”. Capita però che sia un fortunello bastardo, sfumatura ben più precisa della precedente “uomo di plastica”, e quindi probabilmente non imparerò mai dai miei errori se non il rendermi conto di non poterne imparare niente e la conseguente necessità di evitare a priori di farne. Come se fosse facile.

do you see teh mindfukk?!1

L’episodio di questa settimana racconta una sfumatura particolare di mindfuck che non mi era ancora capitata, per quanto effettivamente ricordi ben poco, ma preferisco tentare di descrivere quel che ho provato senza sapere quello che effettivamente è successo.
In pratica ho visto la realtà come un enigma, una scena di vita quotidiana qualsiasi era per me incomprensibile se non dopo svariate rielaborazioni della mia mente azzoppata: ogni secondo era scisso in due o tre stimoli sensoriali diversi, scoordinati, di modo che per capire quello che solitamente avrei capito in un millesimo di secondo mi ci volevano (o sembravano volerci, ma propendo più per la pima) almeno dieci secondi. Quando ci riuscivo.
È stata una sensazione devastante, il capire di non riuscire a capire, attraverso un rebus di fotogrammi e suoni frammentari impossibili da mettere insieme. Poi il buio, e un risveglio quasi peggiore.
Prima di riuscire effettivamente a svegliarmi, ho sognato per almeno 7 volte di fila che sognavo di risvegliarmi prima dell’effettivo risveglio, ma in un corpo non mio (aveva le tette, anche se in realtà non percepivo il corpo, non lo toccavo) e soprattutto ne vedevo soltanto il busto da dietro come se fosse uno strato sottile di carne sul davanti, niente costole, schiena, testa, braccia, o almeno che mi ricordi. E ogni volta dopo essermi forse svegliato per davvero, nel sogno, iniziavo a discuterne con qualcuno, come se anche per lui (forse più lei) fosse una cosa già capitata, una sensazione comune, nonostante per me, col senno di poi, non mi sembra assolutamente così. In più, nel ripetersi il sogno, si accavallava con quelli precedenti, creando un turbine di confusione nelle parole che mi rendeva impossibile capire cosa dicevamo al di là del fatto che conoscevamo quella sensazione. Ed era forse questo l’aspetto più tragico del tutto, il fatto che mi sembrava che prima o poi avrei dovuto anche svegliarmi davvero, però è sembrata volerci un’eternità. Come se avessi dovuto passare attraverso i miei sette strati cipollosi di essere inutile.
Unici altri indizi, la finestra di una casa gialla al terzo o quarto piano con un abete davanti. Frutti del mindfuck, credo, e spero.

Capita però a pennello che nella tragedia riesca a collegare due o tre cose che altrimenti avrebbero avuto soltanto dell’impersonale, anche se in realtà sono cose applicabili un pò a tutti, e anche se in realtà una è soltanto una parola latina che però mi fa sentir figo di saper cosa significhi e che non fa altro che dimostrare la mia piccolezza nonchè mancanza di gratitudine, in quanto ho sempre odiato il latino e lo sfodero soltanto per dimostrare la mia pretesa superiorità quando si discute. E l’altra invece vabeh lasom pert.

Lettera di H. S. Thompson ad un amico, consigli sulla vita:

(ovviamente tradotta alla bene echeccazzo, cosa volete di più)

22 aprile 1958
57 Perry Street
New York City

“Caro Hume,
Mi chiedi consiglio: una cosa molto umana e pericolosa da fare! Dare consiglio a un uomo che chiede cosa fare della propria vita implica qualcosa di molto vicino all’egomania: pretendere di avviare un uomo verso il corretto, ultimo, obiettivo indicando con un dito fremente nella direzione giusta è una cosa che solo uno sciocco prenderebbe in considerazione. Io non sono uno sciocco, ma rispetto la tua sincerità nel chiedermi consiglio. A mia volta però ti chiedo, nell’ascoltare ciò che dico, di ricordare che tutti i consigli possono soltanto essere un prodotto dell’uomo che li da: ciò che per uno è verità per un altro può essere disastro. Io non vedo la vita attraverso i tuoi occhi, e nemmeno tu attraverso i miei. Se cercassi di darti un consiglio specifico, sarebbe un pò come un cieco che guida un altro cieco.

“..Essere, o non essere: questa è la domanda; se sia più nobile soffrire nella mente i colpi di fionda e i dardi dell’oltraggiosa fortuna, o armarsi contro un mare di affanni..”

Ed è proprio quest la domanda: se galleggiare con la marea, o nuotare verso un obiettivo. È una scelta che tutti dobbiamo fare più o meno coscientemente prima o poi, ma in pochi lo capiscono. Pensa ad ogni decisione che tu abbia preso e che ha modificato il tuo futuro: potrei sbagliarmi, ma non vedo come potrebbe essere altro che una scelta, per quanto indiretta, tra le due cose che ti ho menzionato.

Ma perchè non lasciarsi trasportare se non si ha un obiettivo? Questa è un’altra domanda. È indiscutibilmente meglio apprezzare il galleggiare che non il nuotare nell’incertezza. Quindi come può un uomo trovare un obiettivo? Non un castello sulle nuvole, ma una cosa reale e tangibile. Come può esser certo che non sta soltanto inseguendo la montagna candita, che ha poco gusto e niente sostanza?

La risposta, e, in un certo senso, la tragedia della vita, è che cerchiamo di capire l’obiettivo e non l’uomo. Determiniamo un obiettivo che richiede da noi cose ben precise, e noi le facciamo. Ci adattiamo alle richieste di un concetto che non può esser valido. Quando eri piccolo, mettiamo che volevi fare il pompiere. Ora è abbastanza certo che tu non voglia più farlo, ma perchè? Perchè sono cambiate le tue prospettive: non è il fare il pompiere che è cambiato, ma tu. Ogni uomo è la somma delle sue reazioni alle esperienze che ha vissuto.
Così, più le tue esperienze crescono e si differenziano, più tu diventi diverso, e così anche le tue prospettive cambiano. E la cosa continua, ogni reazione è un processo di apprendimento: ogni esperienza significativa altera le tue prospettive.

Non sembrerebbe quindi stupido, o meno, adattare le nostre vite alle richieste di un obiettivo che vediamo da un angolo diverso ogni giorno? Come possiamo sperare di ottenere qualcosa oltre che galloppanti nevroi?
La risposta, perciò, non deve avere niente a che fare con gli obiettivi, o perlomeno non con obiettivi tangibili, in ogni caso. Servirebbero reami di carta per sviluppare il concetto fino in fondo. Solo dio sa quanti libri sono stati scritti sul “significato dell’uomo” e questo genere di cose, e lui solo sa quante persone hanno riflettutto su questo oggetto.

C’è pochissimo senso nel mio tentare nell’impresa, perchè sono il primo ad ammettere la mia completa mancanza di qualifica necessaria a ridurre il significato della vita in uno o due paragrafi.

Starò lontano dalla parola “esistenzialismo”, ma potresti volerla ricordare come una chiave qualunque. Potresti anche provare qualcosa chiamato “Essere e nullità”, di Sartre, e un’altra piccola cosa chiamata “Esistenzialismo: da Dostoyevsky a Sartre”. Sono soltanto semplici suggerimenti. Se sei genuinamente soddisfatto con chi sei o con cosa stai facendo, allora lascia questi libri al loro posto. Torniamo alla risposta: mettere il nostro destino nelle mani di obiettivi tangibili sembrerebbe, al meglio, poco saggio.

Quindi noi non ci battiamo per esser pompieri, o banchieri, o tantomeno polizioto, e nemmo dottori: noi combattiamo per essere noi stessi.
Non fraintendermi: non intendo che non possiamo diventarlo, ma che dobbiam fare in modo che l’obiettivo sia conforme all’individo, piuttosto che il contrario. In ogni uomo, l’ereditarietà e l’ambiente circostante, si combinano per produrre una creatura con determinate abilità e desideri, compresa una necessità radicata in profondità di funzionare in una maniera che sia significativa. Un uomo deve essere qualcosa; deve importare.
Così come la vedo io, la formula può essere ridotta a qualcosa del genere: un uomo deve scegliere un percorso che permetta alle sue abilità di funzionare alla massima efficenza verso la gratificazione dei suoi desideri. Nel farlo, egli soddisfa una necessità, dandosi un’identità nel funzionare secondo un determinat pattern di suo gradimento verso un obiettivo. Evita di frustrare il suo potenziale, scegliendo un percorso che non pone limiti alle sue possibilità di evolversi, e evita il terrore di vedere il suo obiettivo appassire o perdere di charm nel farsi più vicino, perchè ha plasmato l’obiettivo su sè stesso invece che il contrario.
In breve, egli non dedica la sua vita nel raggiungere un obiettivo predefinto, ma sceglie uno stile di vita che sa che gli piacerà, mettendo l’obiettivo in secondo piano.
Sembra quasi ridicolo dire che un uomo deve funzionare secondo un pattern di suo gradimento, perchè lasciare che un altro uomo definisca i tuoi obiettivi significa rinunciare a uno degli aspetti più significativi della vita: l’atto di volontà definitivo che rende un uomo un individuo.

Facciam finta che tu pensi di avere otto possibili strade da seguire, strade predefinite, ovviamene, e facciam finta che tu non riesca a trovare nessun scopo significativo in nessuna delle otto. Allora, tu devi trovare una nona strada, questo è ciò che sto dicendo.
Naturalmente, non è così facile come suona. Hai vissuto una vita piuttosto stretta, un esistenza più verticale che orizzontale, quindi non è difficile capire perchè sembra che tu ti senta così. Ma un uomo che procrastina nel suo scegliere, inevitabilmente avrà le circostanze a dettargli le scelte da fare.

Quindi, se ti reputi tra i disincantati, non ti resta altra scelta se non di accettare le cose come sono, oppure iniziare a cercare seriamene qualcos’altro. Ma attento allo scegliere obiettivi, concentrati piuttosto sullo stile di vita. Decidi come vuoi vivere e vedi cosa puoi fare per potere vivere in quel modo. Ma tu dici: “Non so dove cercare, e nemmeno cosa cercare”.
E qui sta il cardine: vale la pena rinunciare a ciò che si ha per cercare qualcosa di meglio? Non saprei, lo è per te? Nessuno può scegliere al tuo posto, ma persino decidendo di cercare, sei già a metà strada dall’aver fatto la scelta.

Se non mi fermo, finirò per trovarmi a scrivere un libro. Spero che non sia così confuso come sembra a una prima occhiata. Ricordati sempre che questo è il mio punto di vista sulle cose. Credo che sia applicabile in maniera abbastanza generale, ma potrebbe non essere così per te. Ognuno di noi deve crearsi un suo proprio credo, questo è soltanto il mio.
Se una parte qualsiasi ti sembri non aver senso, per favore fammelo notare. Non sto cercando di mandarti sulla strada alla ricerca del Valhalla, ma semplicemente indicando che non è necessario accettare le scelte che ti vengono proposte dalla vita come la conosci. C’è più di questo, e nessuo dovrebbe fare qualcosa che non vuole per il resto della sua vita. Se poi è quello che ti capita dover fare, convinciti in tutte le maniere che era quello che dovevi fare. Avrai un sacco di compagnia.

È tutto per ora, e finchè non mi scriverai ancora, rimango,
il tuo amico,
Hunter.”

E siccome ultimamente cito un pò troppo Thompson, annacquo il tutto con un pò di Escher, che ci sta sempre.

Secondo me l’artista grafico per eccellenza di tutto il novecento, anche se è nato a fine diciannovesimo secolo. Secondo wikipedia:

“È conosciuto principalmente per le sue incisioni su legno, litografie e mezzetinte che tendono a presentare costruzioni impossibili, esplorazioni dell’infinito, tassellature del piano e dello spazio e motivi a geometrie interconnesse che cambiano gradualmente in forme via via differenti. Le opere di Escher sono molto amate dagli scienziati, logici, matematici e fisici che apprezzano il suo uso razionale di poliedri, distorsioni geometriche ed interpretazioni originali di concetti appartenenti alla scienza, sovente per ottenere effetti paradossali.”

 

 

 

 

Ci sono molte cose che mi affascinano delle sue opere, e sicuramente in primis l’amore per il mindfuck, o, per dirla bene, per i paradossi, e per i pattern. Ma la cosa che mi affascina di più è il suo voler esplorare prospettive strane e finire talvolta nel quasi torturare di piacere l’osservatore, che non capisce cosa stia vedendo ma non può fare a meno di soffrire per capirlo.

Cane che si morde la coda, uroboro, entelechia, come spesso mi è già successo, visto che è da quando ho 15-16 anni che mi piace e non riesco a evitare di pensarci quando entro in certi meandri della mia testa.

Insomma riavvolgendo il solito sfacelo che vomito su queste pagine con una cadenza che sarebbe quasi da verificare (a parte quando mi gira bene la ruota del soma e finisco per aver cose da raccontare che nessuno tranne me in quel momento può capire e quindi inutile anche al me di ora, o di poco fa) mi resta da spiegare la mia versione del Soma.
Secondo le leggende si tratterebbe di una preparazione a base di ingredienti naturali (una pianta dicono alcuni, funghi altri, mancan solo gli animali e le parti umane, o no, queste qualcuno ce le ha messe nelle sue di leggende, ovviamente scherzando) in grado di dare ai guerrieri la forza necessaria per vincere le battaglie.
È qualche anno ormai che ci penso a questa mia versione, perchè dopotutto se molti promotori hanno voluto proporre come sostanza misteriosa la loro preferita, non vedo perchè non possa farlo io, anche se non ho alcuna intenzione di proporre una sostanza ma un’idea. Un punto di vista.
Credo che la lettera di Thompson qui sopra spieghi abbastanza bene quel che intendo dire, forse però mettendo la bilancia in posizione di equilibrio tra stile di vita e obiettivi. Tra percorsi e punti di arrivo. Un compromesso. La ricetta per vincere le guerre che ci si parano davanti, compresa la guerra delle guerre, quella della vita. O perlomeno per vincere battaglie come quelle delle Termopili, che ti scaldano il cuore anche se è morto.
Perchè dopotutto “siamo tutti humus in fase di allenamento” – resistere è inutile, sarete assimilati

Metto del nastro adesivo nei buchi delle mie scarpe
Metto la lingua nei buchi che ho nei denti
Metto le bestemmie nei buchi del mio pensare mentre parlo
I miei amici restano fedeli alle loro armi
hanno un sacco di vermont nei boschi per tirar la fine del mondo
ma Saturno ha detto che vuole imparare a vivere
come se il mondo non dovesse mai finire, e ammiro la sua forza

Oggi farò del mio meglio
per bere caffè al mattino e vivere come se
non mi sentissi solo, senza speranza ed impotente
per riuscire a salvarmi a beneficio del mondo in cui vivo
e stanotte, quando sognerò sarà
che i drogati spendano tutti i soldi della droga
in giardini comuni, e abitazioni collettive
e i ragazzetti punk che si son trasferiti nel ghetto
comincino ad incontrare i loro vicini, compresi quelli incazzati,
nei cortili, dove i loro amici sono andati a vomitare e i loro cani a cagare
e gli anarchici comincino
a rimpiere vasi e raccogliere la spazzatura
per dimostrare che non abbiam bisogno di un governo per fare queste cose
e  mi sveglierò, bruciando Time Square mentre cantiamo
“Su le mani perchè la proprietà è furto”

Che poi oggi pensavo: non c’è lavoro per tutti, eppure tutti bene o male, qui, han da mangiare. Quindi siamo troppo efficienti, produciamo troppo. Quindi dovremmo lavorar di meno, adattarci a guadagnar qualcosa in meno anche, per spartire di più con gli altri. E a nessuno sembra particolarmente piacere andare a lavorare, almeno di quelli che conosco. Ma allora siamo scemi? Sono, siete, dipende se avete un lavoro o meno? Che forse a nessuno piace nemmeno stare troppo a casa con quelli troppo simili a lui? O stare a casa con sè stessi annoiati di non saper che fare? Quindi piuttosto andiamo al lavoro così “è colpa del lavoro”? Boh mi sembra che manchi un qualche tipo di congiunzione nei nostri “problemi”, e forse il mio rischiare di morire ogni due mesi per cause completamente stupide assume un qualche tipo di senso di appartenenza alla specie.

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«Quando Gesù voleva tornare in Giudea, sapendo che li vi avrebbe trovato la morte, Tommaso disse agli altri apostoli: “Andiamo anche noi e periamo al suo fianco”.

Ma Tommaso non è ricordato per il suo coraggio: divenne famoso solo in seguito, quando rifiutò di credere alla risurrezione. La sua mente non riusciva a concepirla; la storia narra che dovette toccare le ferite di Gesù per convincersi.»

«E fù così?»

«Certo che fù così. Ci si convince tutti, prima o poi.»

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Sul posto in cui vivo e sullo sgarrupame AKA sfc56kkillerz

“Gennarino Esposito, tema dell’estate: La mia casa. Svolgimento: la mia casa è tutta sgarrupata, i soffitti sgarrupati, i muri sgarrupati, il pavimento è sgarrupato e a volte mi sento sgarrupato anch’io. Mia madre dice: il terzo mondo non tiene manco la casa sgarrupata. E perciò non ci dobbiamo lamentare, il terzo mondo è molto più terzo di noi. Mio padre a pasqua ci porta a casa il pieto (? agnello) per scannarlo, ma esso ci fa sempre pena e alla fine lo regaliamo sempre, e così lui si appiccica con mia madre che gli dice: o maronna mina o pieto tiene, ma ma che caz lo porta affà se poi non tiene mai il coraggio per scannàl, aggia scannài a tiè. Mio padre fa il cartonaio, di mattina fa un altro mestiere, poi si arritica il pomeriggio dorme un pò, mangia, e poi esce la notte a fare i cartoni, e spesso lo accompagno anch’io.”

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ENTER THE CHICKEN!

Mentre ascolto il mio pollo preferito schizofrenizzare sulla sua chitarra bianca e mi diletto al pensiero di spendere tutti i risparmi degli ultimi 10 anni di vita in CD da 40 euro l’uno e altre inutilezze simili urge dentro di me riassumere le ultime settimane non intense ma che culminano con sorprese come al solito. Ho deciso che non rileggerò assolutamente niente di quello che scriverò perchè non credo nell’essere capito ma solo nel capire e ricordare, e soprattutto perchè ho la dislessia tattile mentale facile in questi precisi istanti di intense difficoltà veglieggianti tanto che prima per riuscire a scrivere stampante ho dovuto provarci due volte e poi fermarmi a pensarci qualche secondo. Ho deciso di nominare COLLIMARE come parola del mese e riassunto del vortice delirioso dell’ultima settimana, e LASA  ‘NDA ‘L BREMP come espressione totale per la primavera estate e successivo resto dell’anno se riesco a ricordarmela per così a lungo. Un pò come NOBODY CANNA CROSS IT è stata per l’inverno. Ho deciso che se vivrò in una casa essa dovrà avere o i muri del colore del cemento o del materiale edile utilizzato, che di greco io cho gran poco e soprattutto tutto quello che è inutile avere. Ad esempio il pane greco, mentre quelli la son talmente greci che pitturan le case pure sul di fuori di bianco che ogni 2 giorni saran lì a rifarlo che io piuttosto che aver un’idea del genere butto giù la casa a scraniate o il contrario. Che poi in realtà magari le pitturan solo sul di fuori e non sul di dentro il che li renderà ancora più leggendari ai miei occhi o magari semplicemente non usan gli zoccolini o boh in effetti ci sarebbero migliaia di strategie diverse per evitare di diventare pazzo e essere assorbito nella psicosi collettiva però spesso non è così facile ricordarsene. Più che altro per ora ho appreso la via della manutenzione livello uno, e il livello due mi suona un pò fuori dal comune denominatore quindi: KISS strategy in a multiple moirè patterning centrifugal all directions spiral out; KISSSINAMMPCADSO. con quel cadso lì finale a sottolineare la totalità della strategia. Ho deciso che comprerò una maschera da boh faccia di cera in stile testa di secchio e un secchio in stile testa di secchio come diretta conseguenza del non tagliar mai più i capelli, per il tal caso in cui dovesse presentarsi la necessità di presentarsi mascherato in un qualsivoglia luogo e tutte le altre maschere che ho cominciato non fossero ancora state completate; o semplicemente per quei momenti in cui il mindfuck è forte e ho la necessità di presentarmi al mondo esterno senza che il mondo esterno riesca in via definitiva a capire di chi si situi sotto la maschera anche se ovviamente è praticamente certo agli occhi di chi vede ma non a quelli di chi guarda. Ho deciso che è probabile che tali suddetti momenti saranno ancora presenti nella mia vita, perchè dopotutto sono stati parte di questa apparentemente grande svolta che sto cercando di non intraprendere, in misura più o meno variabile ma comunque abbastanza alta, perchè ormai credo che la svolta l’abbia già intrapresa e siccome indietro non si torna ormai posso solo cercare di rimirare verso l’indietro nel forse oblio del rimorso. E perchè so come sono fatto e per quanto “meglio sicuro che dispiaciuto” sia una frase che in qualche modo mi attira so che se lo fa è soltanto perchè io sono dal lato totalmente opposto, vittima delle pulsioni passionali schizolunaticnonsense, con la ragione succube dello svialculo del momento. E quindi se voglio qualcosa da me, devo concedermi l’illusione del pensare che in fondo al tunnel ci si possa trovare la luce, sapendo che potrebbe semplicemente essere soltanto un illusione. Perchè, altro delirio di sti giorni, si può pretendere qualcosa soltanto da sè stessi, ma mai o comunque di rado dagli altri o da altro. E dopotutto le notti insonni mi fanno comodo se riesco a mantenerle produttive o anche solo funzionali gabbie di faraday non abusate.

“Ciao viandante, io sono uno spirito guida, incarnato in questo corpo da ragazzina. Mi chiamano figlia, alcuni sorella, altri figa. Sono qui per dirti che nonostante tu sia un mago, nonostante tu abbia fatto sette dischi, la tua ricerca è appena agli inizi. Cerca di vivere il più possibile, almeno fino a centoventi anni. Miliardi di cicli verranno. Trovarsi e perdersi. Sbagliarsi e correggersi. Il tuo destino è scritto e da scrivere. Maturi le caratteristiche e gli strumenti per modificarle in simultanea. In questi giorni intensi vivrai contrasti nel chiamarti e paragonarti ad una tartaruga, nel mischiarti coi cerbiatti e dimostrarti esagerato nell’entrare in una femmina, sbilanciando la tua falsa etica in una ciotola di riso e schiaffi. Non riuscirai mai a rilassarti davanti ai fuochi. Devi farti invadere dalle vibrazioni dolorose, che stendono sul suolo e tirarti fuori dal dolore da solo, senza un espediente farmacologico od un attimo di riposo. Devi vivere due vite come una sola per trovare il drago, e devi farlo senza parlare, senza star zitto, disintegrando te stesso ed il concetto di adesso – scusate, qualcuno di voi ha una sigaretta da offrirmi? Il mio compare porge il tabacco, mentre io sono estasiato. So che per me è difficile. So che non sai perché. E che tu ci creda o meno, io non sono una persona ma quattordici. E che tu ci creda o meno, io sono gli altri, sono il caso. Uno scoglio tra le ondate di pragmatismo ed astrazione. Mi disintegro nell’acqua per gli effetti di erosione.”

“Una volta un saggio alla domanda “Chi o cosa siamo noi?” rispose così: siamo la somma di tutto quello che è successo prima di noi, di tutto quello che è accaduto davanti ai nostri occhi, di tutto quello che ci è stato fatto, siamo ogni persona, ogni cosa la cui esistenza ci abbia influenzato o con la nostra esistenza abbia influenzato, siamo tutto ciò che accade dopo che non esistiamo più e ciò che non sarebbe accaduto se non fossimo mai esistiti!”

Qui sotto, per il dover della cronaca o come minchia si semantica un concetto senza preoccuparsi di avere qualcosa da dire per davvero, una rappresentazione del mio solenoide in surriscaldamento, che nel preciso istante in cui si arrossa completamente riesce a farmi venire gli sgrisoli talmente forti che non sento neanche quello che le cuffie mi sparano nelle orecchie. Si, forse è stata una settimana abbastanza intensa, niente di che però non la classica settimana non intensa di un comune denominatore non così intenso.

Colore al grigiore, colore al grigiore, perchè non sia l’ennesimo promemoria circa dei buoni propositi ma qualcosa di più o qualcosa di meno. Devo fare il manico di coltello più figo mai visto, finire il bokakob, far ripartire almeno una delle due moto, finire la cascata del riparium, riprendere a fare la birra/cominciare a farla con dippi, finire di sistemare la botte, rifare la lama al serramanico, fare la lama e la sicura del damascato quando e se arriva, piantare delle piante succulenti, finire il primo prototipo di vite di archimede a spirale aurea cilindrica, finire il primo ampli per basso/boombox portatile, e altre cose varie ed eventuali, ovviamente non in ordine di importanza nè di citazione, questo si che è un promemoria veloce, l’ordine poi lo da la risonanza solenoidale. cheeze

P.s.: prima che mi contesti la farmaceuticità di certi miei metodi sia chiaro che per me quest’ultima riguarda soltanto il corpo, e non la mente, anche se, devo ammettere, ho pensato per qualche millesimo di secondo di tenermi una piccola scorta di farmaceutici d’emergenza, ma, dopotutto, in certi casi avrebbero soltanto rovinato tutto, quindi, ben venga il rischio, la paura, il delirio.
P.p.s: si, anche i sassi sono più fighi di voi, smettetela di ornarvi come un fottuto albero di natale, strisciate su quei ginocchi dall’ubriachezza, facetevi bestie che rincorrono il momento che magari è la volta buona che riuscite a alienarvi dalle cose cattive e a tenere a cuore quelle buone. 😀 /jessusmodeoff

“Quando le migliori menti della mia generazione andarono in India su un R4 per trovare un “guvu” che riparasse le falle dell’Occidente, in India di guru ce n’era pochissimo. Allora indiani piantarono guru come prosecco, perchè domanda genera offerta: dissero voi volete karma, noi vogliamo cola e mercedes. Un’indiana chiamata Gita Metha scrisse un libro bellissimo in cui si descriveva l’invasione di questi occidentali incapaci di sapere chi erano che rovinavano pesantemente l’India. Il titolo di questo libro fu Karmacola.
Benvenuti nel nuovo ordine mondiale della convenienza assoluta..
..Come dice signora Thatcher? Che lei ha messo le case sulla stazione nord, sull’acqua potabile e l’energia elettrica? No signora, mi spiace, è vietato dal regolamento, lei si è mangiata il foglietto del regolamento?! E come ha chiamato sta dieta signora? DEREGULATION! Sregolamento! La ricchezza delle nazioni se n’è andata in un gioco veloce, era diventato un lusso per noi tenere la stazione nord, l’acqua potabile, l’energia elettrica, la scuola pubblica, la sanità, era un mantra signora, la karmacola, la stessa ricetta per tutti i pianeti, privatizzare, esternalizzare, informatizzare, come un mantra orientale signora da recitare se volevi prendere un nobel, non siamo tutti uguali! L’Argentina, figlio prediletto del fondo monetario, ha fatto tutto da manuale ma neanche un fazzoletto per piangere gli è rimasto signora..”

“Se tu stai per dare un calcio al legno, l’esperienza di tutti gli esseri umani ti dice che il tuo piede rimbalzerà, quindi tu puoi dire che ci sono molte probabilità che il tuo piede rimbalzi, ma che c’è un infinitesima probabilità che non succeda e che tutti gli elettroni del legno dicano “spostiamociii”: è infinitesimante improbabile, però la scienza dopo Heisenberg non ha più le certezze che aveva. Perfino Einstein, l’uomo che ha scoperto la relatività, cercava un universo ordinato, in cui ogni cosa fosse lì per una certa logica. Dopo Heisenberg, la teoria del chaos, le teorie della complessità, l’idea che noi non possiamo osservare dei fenomeni senza modificare quello che stiamo osservando, quindi le cose non sono come noi le vediamo, e che quindi forse non esiste la realtà. O che comunque essa non corrisponde a quello che noi possiamo osservare, e che dobbiamo accontentarci sempre di risposte parziali: è un bagno di umiltà per la scienza, prima potevi dire funziona così, dopo devi dire quante probabilità ci sono che funzioni così; devo abituarmi a vivere senza quella certezza. Poi succede che cosa? Succede che le scienze, quelle esatte, vanno vicinissime alla fisica: la filosofia dice che la realtà non esiste, se non come rappresentazione, e noi viviamo da tempo con queste provocazioni sublimi diventate parte della nostra vita. Ed è per questo che noi dobbiam sopportare una quantità di pubblicazioni, ad esempio, un quantità di pubblicazioni che ciclicamente escono a negare l’olocausto, per esempio, o qualsiasi riscrittura della storia non più considerata dalle fonti perchè ciascuno le nega e riscostruisce in un meccanismo combinatorio affascinante, in cui non abbiamo più un’idea di realtà condivisa.”

“Era questo che voleva per noi signora Thatcher, solo uomini, donne e famiglie? E un offera speciale per ognuno di noi? Ma non senti come in questo c’è un destino che ti mette davanti già scritto quello che puoi e quello che non devi neanche immaginare? Come il prezzo da pagare, che non puoi sperare in niente, perchè è già dato, già pronto. Tu la chiami bell’epoque, io, così? no!!.. io per questo la chiamo miseria, maledetta, appiccicaticcia miseria, che non te ne accorgi, ma ti entra dentro, ma è miseria, miseria, miseria..”


“..Se tu dici: non esiste società, solo uomini donne e famiglie, e poi ne fai a meno per 20 anni di allegro libero mercato, signora Thatcher, se poi ci serve ancora indietro, possiamo averla o è troppo tardi?..

Quando Reagan diceva voglio una società in cui tutti abbiano la libertà di diventare ricchi, lo sapeva che stava offrendo le stesse probabilità del super enalotto?
La paura e la miseria, sono due facce della stessa medaglia: se non fai niente, la paura aumenta; la speranza la devi costruire, in cosa? Non te lo devo dire io. La speranza è una capacità, se riesci a immaginare di riuscire a fare qualcosa, sei libero di farla; se non lo fai, se ti rassegni al realismo, sei in miseria. Ed essa aumenta, maledizione, ad ogni passaggio.

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Il quarto escluso è escluso finchè non lo includi AKA IL FOTTUTO POST CHE NON SI COLLIMA









Ieri volevo fare una lista di tutte le cose strane che mi triggerano il solenoide però richiede neuroni che in questo momento non ho. Quindi meglio le figure. Soprattutto quando vai a cercare vecchie figure che non volevi dimenticare e magicamente il genio che inconsciamente avevi apprezzato ti da lo spunto per scoprire il nome di fenomeni che già conoscevi da tempo ma di cui non avevi mai parlato con nessuno, un pò perchè suonano pazzoidi e un pò perchè non mi capita spesso di trovarsi in modalità contemplativa in contro luce dietro a una tenda con altre persone.  Un pattern moirè, ossia il pattern nato dalla sovrapposizione di due pattern, nel mio caso quasi invisibili ma che danno vita a un terzo parecchio più visibile.

E booyaka booyaka cambio di argomento casualmente quasi collimato l’animale del giorno è il cacajao, in realtà è una categoria di scimmie del nuovo mondo, e quello qua sotto è in particolare un uacari.

Nome, il suo, utilizzato tra l’altro dagli indios, per classificare anche l’effetto del sole del Messico sui colonizzatori europei. Come entro in contatto con questo genere di cose? Perchè può sembrare che me le vada a cercare apposta, ma in realtà sono quasi sempre collegamenti casuali. Questo in particolare è nato dalla frase “I’m a Margay. With a 9lb hammer. And a bad attitude” trovata anche lei a muzzo nel mio digicovo di psicolabili.
Così ho voluto sapere cos’era un Margay, che è sto gatto selvatico sudamericano simile all’ocelot ma leggermente più piccolo.

Una sua particolarità, ossia la capacità di imitare il verso di un piccolo di Platyrrhini con lo scopo di mangiarsi qualcuno in famiglia, mi ha fatto notare questa categoria di scimmie prettamente americane, così mi son detto, massì, guardiam qualche scimmia americana..

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“Ecco che se ne va: uno dei prototipi di Dio. Un mutante ad alta potenzialità neanche preso in considerazione per una produzione di massa. Troppo strano per vivere e troppo raro per morire. “

ALORA
Prima cosa, se qualcuno volesse compiere crimini contro l’umanità in mio onore, dichiaro ufficialmente che il cranio di Lorenzo Monguzzi è attualmente il mio preferito.

Non che la cosa a ricontrollarla abbia molto senso, ma il fatto che in certi momenti ne abbia mi fa presumere che ce ne sia. Se poi si vuole essere più realistici, sottolineando che un cantante, seppur di fama limitata, non me lo merito, va benissimo il teschio di William Fichtner.

E la cosa dei teschi continua indissolubilmente a non aver alcun senso, visto che sinceramente il feticismo cranico è l’ultimo dei probabilmente infiniti punti di non contatto con la realtà a cui cerco di aggrapparmi, sopprattutto in ordine di senso visto che, nonostante me lo sia chiesto forse anche più volte, non credo di avere la minima tendenza bisessuale. Forse è semplicemente predominio maschile inogniddove che determina una varianza maggiore e quindi una possibilità più accentuata, eppure certe sfumature tendenti all’iperbole geometrica per ora e purtroppo le ho notate soltanto nei maschi. Devo cominciare a guardare serie tv da donne, se non fosse che dovrei smettere di guardare serie tv. Oppure smettere di apprezzare i teschi, o semplicemente darmi a quelli finti prima di cominciare a scalpare gente random per vedere che teschio cha. Oppure ancora smettere di apprezzare le iperboli geometriche, visto che la cosa ha un senso profondo apparentemente solo dal punto di vista del mindfuck, ovvero del non capire nulla in maniera particolarmente forte in certi momenti, però c’è chi dice che è solo in quei momenti in cui si capisce davvero qualcosa. Non chiedetemi cosa, visto che a me pare di capire nulla e appena vedo qualcosa di catalogabile, tipo un iperbole, è amore a prima vista.
E sinceramente non ricordavo assolutamente come questa cosa delle iperboli fosse nata prima di cominciare la frase prima di questa. E forse è proprio questo il motivo per cui scrivo, nonostante spesso lo faccia solo per ricordarmi che delle volte funziona.

Tutto nasce da questo cranio, credo, anche se a dire la verità penso sia più il rapporto zigomo-mascella-attaccatura del naso a flipparmi il cerebello, o forse dal ruolo interpretato da quel paio di occhi scuri come la notte in quella storia in particolare.

O forse ancora l’aver sottovalutato, per l’ennesima volta, l’oscurità della mia notte interna, profonda come l’oceano, e l’aver osato toccare corde delicate in stati d’animo non del tutto stabili. Fatto sta che, nonostante abbia cominciato a scrivere senza aver assolutamente idea di quel che volevo dire, esso si sia rappresentato a me nel cercar di esprimerlo, senza davvero sapere cosa volessi davvero esprimere. E così mi rendo conto di non aver mai messo per iscritto la seconda volta in cui persi il filo dell’esistenza in modo serio, seppur per solo qualche decina di minuti.

La prima volta che successe pagai quasi caro l’aver sottovalutato la forza della realtà e del suo opposto ugualmente intenso, ma questa volta fu decisamente più travolgente non tanto per l’incapacità di gestire la situazione, quanto per la chiarezza dell’esperienza in sè.
Se la prima volta ero soltanto un ragazzetto che cercava di capire se pagava il giusto per quel che gli piaceva, la seconda divenni uomo; e suona stupido, esattamente quanto lo è stato, ma sinceramente e di pieno cuore ringrazio il caso che mi portò a scegliere quel film quella sera.
Arrivai al punto di andare su facebook per guardar le mie foto, per ricordarmi chi ero, non perchè non lo sapessi, ma perchè il satori era così forte in me da farmi sentire gesù, buddha e me stesso nel medesimo istante.

E non era nè la prima nè la seconda volta in cui mi succedevano cose strane in momenti strani, forse la terza o la quarta, ma mai ebbi l’impressione così nitida di una connessione diretta delle mie cervella fritte con qualcosa di esterno. E il flusso era così forte da risultare quasi insopportabile, come se la storia di tutti i simili me mai esistiti nel passato mi si stesse scaricando nel profondo dell’animo a disposizione per i momenti di futura necessità.
Tanto che il giorno dopo, ancora solenoidamente vibrante, stimolato dalle incertezze filosofiche di Mario ho iniziato un discorso che poi sono riuscito a completare o perlomeno a shiftare in un breve trattato semi svalvolotico senza aver nulla su cui basarmi se non la vibrazione suddetta. E, come oggi, partendo da una cosa quasi senza senso sono giunto a snocciolare sezioni intere dell’esistere umano in frasi quasi semplici da capire, più che altro per il fatto che non dormivo da almeno una cinquantina d’ore piuttosto che per il linguaggio forbito o particolari acrobazie intellettuali. Certo ci avrò messo di sicuro qualche ora a scrivere una facciata scarsa, più che altro perchè ora che finivo di metter giù una frase facevo in tempo a dimenticarmi completamente il punto, il fine e il mezzo del discorso, però credo ne sia valsa la pena.
E oggi, a mesi di distanza, la cosa non è ancora stata del tutto digerita, infatti faccio ancora delle scurregge incredibili al minimo accenno di dieta leguminosa. Però in sostanza il grosso credo di averlo capito, e niente lo riassume bene quanto il quarto comandamento del cristianesimo:  onora il padre e la madre.
Non so bene perchè, ma in sostanza è così. Perchè, se ci pensi bene, tutti gli altri a confronto sono quasi futili: mi sembra quasi come se gli altri nove fossero legge degli uomini, e quello è il vero e unico comandamento.
Soffro molto, ultimamente come più o meno quasi sempre in passato, dei conflitti con i genitori; sono molto calmo, seppur la mia calma tenda ad avere una lama molto affilata che ferisce chi non riesce a capire che il restante 99,9% è una morbida e comoda pianura. Il problema è quando l’altro, o io, perde il controllo: è una cosa incredibile, ho già pensato più volte a questa cosa, ma la rabbia vera, quella che ti offusca la ragione, ha un potere viscerale su chiunque che in qualche modo mi fa quasi capire la ferrea disciplina buddista o ebraica che sia, se non fosse che sono contro a qualsiasi tipo di disciplina.
Nei momenti di rabbia non esiste santo, la ragione è succube dello spirito, e li sfoghi, anche se poi è praticamente certo che te ne pentirai, e più roba hai nascosto sotto il tappeto, peggio finirà. Bisogna metabolizzare tutto, non lasciarsi prendere dal vabeh è così che va ed è sempre andato, per quanto lo svago sia indissolubilmente la cosa più bella in assoluto; digerire per non essere digeriti. Ultimamente per assurdo sono arrivato all’arrabbiarmi con mia nonna, cosa che fino a qualche mese fa, seppur magari a volte succedeva, non esternavo mai. Non che ora arrivi sul piede di guerra anche con lei, però tendo a esser pià suscettibile all’esprimere il disagio, che prima sfogavo molto meglio.

Non so bene se tutto ciò mi abbia portato da qualche parte, ma sono felice anche solo per aver messo per iscritto le sensazioni di quella sera; forse un giorno riuscirò a costruire un quadro completo della mia psiche più o meno complessa ma sicuramente parecchio abusata, e se succederà, spero serva a qualcosa. Per ora, perchè come al solito a restare serio dall’inizio alla fine proprio non ce la faccio, lascio qualche parola a caso trovata qua e là.

“..Aveva un senso: Motorhead era  il titolo dell’ultima canzone che avevo composto per gli Hawkwind ed era l’equivalente americano del termine speedfreak (colui che fa uso smodato di anfetamine), quindi tutti i pezzi sembravano andare a posto. In più, era un nome composto da una parola sola; io credo nelle band che hanno il nome di una sola parola – sono più facili da ricordare.   Così presi i miei amplificatori dai colori psichedelici, li pitturai di nero e nacquero i Motorhead. Tutti volevano sapere cosa avessi in mente. Fu allora che me ne uscii con la famosa frase, che apparve per la prima volta su Sounds: “Sarà la più sporca rock’n’roll band del mondo. Se ci trasferissimo accanto a casa vostra, l’erba del vostro giardino morirebbe!”..”

P.s.: credo che se dovessi cadere succube del permatrip il realizzare gigantografie di immagini come questa sotto e altre mille che ho nella testa ma che non ho mai realizzato potrebbe aiutarmi.

“Siamo tutti impegnati in una lotta per la sopravvivenza ora, non ci sono più gli stimolanti degli anni sessanta; è stata questa la falla fatale nel viaggio di Tim Leary: ha bombardato l’America vendendo la sua espansione di coscienza, senza mai pensare alla realtà macabra e rapace che stava in attesa di tutti quelli che lo prendevano sul serio. Quei consumatori di acido patetici ed appassionati che pensavano di comprarsi pace e comprensione a 3 dollari la botta, ma la loro sconfitta e i loro fallimenti sono anche i nostri.
Ciò che Leary si è portato via con sè è l’illusione di un intero stile di vita che lui stesso aveva contribuito a creare: una generazione di storpi permanenti, di cercatori falliti, che non ha mai capito la vecchia essenziale falsità mistica della cultura dell’acido, la disperata supposizione che qualcuno, o almeno qualcosa, custodisse la luce alla fine del tunnel.”

P.s.: ho notato che anche il teschio di LaBrava è gran cosa, forse il più bello da triste o perlomeno in sta foto, che le altre non ho avuto sbatti di star lì a stare lì.

asd

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