“Ecco che se ne va: uno dei prototipi di Dio. Un mutante ad alta potenzialità neanche preso in considerazione per una produzione di massa. Troppo strano per vivere e troppo raro per morire. “

ALORA
Prima cosa, se qualcuno volesse compiere crimini contro l’umanità in mio onore, dichiaro ufficialmente che il cranio di Lorenzo Monguzzi è attualmente il mio preferito.

Non che la cosa a ricontrollarla abbia molto senso, ma il fatto che in certi momenti ne abbia mi fa presumere che ce ne sia. Se poi si vuole essere più realistici, sottolineando che un cantante, seppur di fama limitata, non me lo merito, va benissimo il teschio di William Fichtner.

E la cosa dei teschi continua indissolubilmente a non aver alcun senso, visto che sinceramente il feticismo cranico è l’ultimo dei probabilmente infiniti punti di non contatto con la realtà a cui cerco di aggrapparmi, sopprattutto in ordine di senso visto che, nonostante me lo sia chiesto forse anche più volte, non credo di avere la minima tendenza bisessuale. Forse è semplicemente predominio maschile inogniddove che determina una varianza maggiore e quindi una possibilità più accentuata, eppure certe sfumature tendenti all’iperbole geometrica per ora e purtroppo le ho notate soltanto nei maschi. Devo cominciare a guardare serie tv da donne, se non fosse che dovrei smettere di guardare serie tv. Oppure smettere di apprezzare i teschi, o semplicemente darmi a quelli finti prima di cominciare a scalpare gente random per vedere che teschio cha. Oppure ancora smettere di apprezzare le iperboli geometriche, visto che la cosa ha un senso profondo apparentemente solo dal punto di vista del mindfuck, ovvero del non capire nulla in maniera particolarmente forte in certi momenti, però c’è chi dice che è solo in quei momenti in cui si capisce davvero qualcosa. Non chiedetemi cosa, visto che a me pare di capire nulla e appena vedo qualcosa di catalogabile, tipo un iperbole, è amore a prima vista.
E sinceramente non ricordavo assolutamente come questa cosa delle iperboli fosse nata prima di cominciare la frase prima di questa. E forse è proprio questo il motivo per cui scrivo, nonostante spesso lo faccia solo per ricordarmi che delle volte funziona.

Tutto nasce da questo cranio, credo, anche se a dire la verità penso sia più il rapporto zigomo-mascella-attaccatura del naso a flipparmi il cerebello, o forse dal ruolo interpretato da quel paio di occhi scuri come la notte in quella storia in particolare.

O forse ancora l’aver sottovalutato, per l’ennesima volta, l’oscurità della mia notte interna, profonda come l’oceano, e l’aver osato toccare corde delicate in stati d’animo non del tutto stabili. Fatto sta che, nonostante abbia cominciato a scrivere senza aver assolutamente idea di quel che volevo dire, esso si sia rappresentato a me nel cercar di esprimerlo, senza davvero sapere cosa volessi davvero esprimere. E così mi rendo conto di non aver mai messo per iscritto la seconda volta in cui persi il filo dell’esistenza in modo serio, seppur per solo qualche decina di minuti.

La prima volta che successe pagai quasi caro l’aver sottovalutato la forza della realtà e del suo opposto ugualmente intenso, ma questa volta fu decisamente più travolgente non tanto per l’incapacità di gestire la situazione, quanto per la chiarezza dell’esperienza in sè.
Se la prima volta ero soltanto un ragazzetto che cercava di capire se pagava il giusto per quel che gli piaceva, la seconda divenni uomo; e suona stupido, esattamente quanto lo è stato, ma sinceramente e di pieno cuore ringrazio il caso che mi portò a scegliere quel film quella sera.
Arrivai al punto di andare su facebook per guardar le mie foto, per ricordarmi chi ero, non perchè non lo sapessi, ma perchè il satori era così forte in me da farmi sentire gesù, buddha e me stesso nel medesimo istante.

E non era nè la prima nè la seconda volta in cui mi succedevano cose strane in momenti strani, forse la terza o la quarta, ma mai ebbi l’impressione così nitida di una connessione diretta delle mie cervella fritte con qualcosa di esterno. E il flusso era così forte da risultare quasi insopportabile, come se la storia di tutti i simili me mai esistiti nel passato mi si stesse scaricando nel profondo dell’animo a disposizione per i momenti di futura necessità.
Tanto che il giorno dopo, ancora solenoidamente vibrante, stimolato dalle incertezze filosofiche di Mario ho iniziato un discorso che poi sono riuscito a completare o perlomeno a shiftare in un breve trattato semi svalvolotico senza aver nulla su cui basarmi se non la vibrazione suddetta. E, come oggi, partendo da una cosa quasi senza senso sono giunto a snocciolare sezioni intere dell’esistere umano in frasi quasi semplici da capire, più che altro per il fatto che non dormivo da almeno una cinquantina d’ore piuttosto che per il linguaggio forbito o particolari acrobazie intellettuali. Certo ci avrò messo di sicuro qualche ora a scrivere una facciata scarsa, più che altro perchè ora che finivo di metter giù una frase facevo in tempo a dimenticarmi completamente il punto, il fine e il mezzo del discorso, però credo ne sia valsa la pena.
E oggi, a mesi di distanza, la cosa non è ancora stata del tutto digerita, infatti faccio ancora delle scurregge incredibili al minimo accenno di dieta leguminosa. Però in sostanza il grosso credo di averlo capito, e niente lo riassume bene quanto il quarto comandamento del cristianesimo:  onora il padre e la madre.
Non so bene perchè, ma in sostanza è così. Perchè, se ci pensi bene, tutti gli altri a confronto sono quasi futili: mi sembra quasi come se gli altri nove fossero legge degli uomini, e quello è il vero e unico comandamento.
Soffro molto, ultimamente come più o meno quasi sempre in passato, dei conflitti con i genitori; sono molto calmo, seppur la mia calma tenda ad avere una lama molto affilata che ferisce chi non riesce a capire che il restante 99,9% è una morbida e comoda pianura. Il problema è quando l’altro, o io, perde il controllo: è una cosa incredibile, ho già pensato più volte a questa cosa, ma la rabbia vera, quella che ti offusca la ragione, ha un potere viscerale su chiunque che in qualche modo mi fa quasi capire la ferrea disciplina buddista o ebraica che sia, se non fosse che sono contro a qualsiasi tipo di disciplina.
Nei momenti di rabbia non esiste santo, la ragione è succube dello spirito, e li sfoghi, anche se poi è praticamente certo che te ne pentirai, e più roba hai nascosto sotto il tappeto, peggio finirà. Bisogna metabolizzare tutto, non lasciarsi prendere dal vabeh è così che va ed è sempre andato, per quanto lo svago sia indissolubilmente la cosa più bella in assoluto; digerire per non essere digeriti. Ultimamente per assurdo sono arrivato all’arrabbiarmi con mia nonna, cosa che fino a qualche mese fa, seppur magari a volte succedeva, non esternavo mai. Non che ora arrivi sul piede di guerra anche con lei, però tendo a esser pià suscettibile all’esprimere il disagio, che prima sfogavo molto meglio.

Non so bene se tutto ciò mi abbia portato da qualche parte, ma sono felice anche solo per aver messo per iscritto le sensazioni di quella sera; forse un giorno riuscirò a costruire un quadro completo della mia psiche più o meno complessa ma sicuramente parecchio abusata, e se succederà, spero serva a qualcosa. Per ora, perchè come al solito a restare serio dall’inizio alla fine proprio non ce la faccio, lascio qualche parola a caso trovata qua e là.

“..Aveva un senso: Motorhead era  il titolo dell’ultima canzone che avevo composto per gli Hawkwind ed era l’equivalente americano del termine speedfreak (colui che fa uso smodato di anfetamine), quindi tutti i pezzi sembravano andare a posto. In più, era un nome composto da una parola sola; io credo nelle band che hanno il nome di una sola parola – sono più facili da ricordare.   Così presi i miei amplificatori dai colori psichedelici, li pitturai di nero e nacquero i Motorhead. Tutti volevano sapere cosa avessi in mente. Fu allora che me ne uscii con la famosa frase, che apparve per la prima volta su Sounds: “Sarà la più sporca rock’n’roll band del mondo. Se ci trasferissimo accanto a casa vostra, l’erba del vostro giardino morirebbe!”..”

P.s.: credo che se dovessi cadere succube del permatrip il realizzare gigantografie di immagini come questa sotto e altre mille che ho nella testa ma che non ho mai realizzato potrebbe aiutarmi.

“Siamo tutti impegnati in una lotta per la sopravvivenza ora, non ci sono più gli stimolanti degli anni sessanta; è stata questa la falla fatale nel viaggio di Tim Leary: ha bombardato l’America vendendo la sua espansione di coscienza, senza mai pensare alla realtà macabra e rapace che stava in attesa di tutti quelli che lo prendevano sul serio. Quei consumatori di acido patetici ed appassionati che pensavano di comprarsi pace e comprensione a 3 dollari la botta, ma la loro sconfitta e i loro fallimenti sono anche i nostri.
Ciò che Leary si è portato via con sè è l’illusione di un intero stile di vita che lui stesso aveva contribuito a creare: una generazione di storpi permanenti, di cercatori falliti, che non ha mai capito la vecchia essenziale falsità mistica della cultura dell’acido, la disperata supposizione che qualcuno, o almeno qualcosa, custodisse la luce alla fine del tunnel.”

P.s.: ho notato che anche il teschio di LaBrava è gran cosa, forse il più bello da triste o perlomeno in sta foto, che le altre non ho avuto sbatti di star lì a stare lì.

asd

Questa voce è stata pubblicata in Senza categoria e contrassegnata con . Contrassegna il permalink.

Lascia un commento